Il cannabidiolo estratto dalla cannabis potrebbe contrastare il cancro alla prostata in fase avanzata, quando diventa refrattario alle terapie ormonali. È la conclusione di uno studio pubblicato su Pharmacological Research dai ricercatori dell’Istituto di Chimica Biomolecolare del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR-ICB): il CBD colpisce la “plasticità metabolica” del tumore, ovvero la sua capacità di modificare il metabolismo per supportare la maggiore richiesta di energia.
I fitocannabinoidi attivano un “interruttore” molecolare che accelera il metabolismo delle cellule tumorali, innescando una serie di meccanismi compensatori che si succedono a effetto cascata e portano al suicidio della cellula.
Il cancro alla prostata e la resistenza ai farmaci
Il numero di uomini affetti da cancro alla prostata – il più diffuso nella popolazione maschile dai 50 anni in su – è cresciuto negli ultimi anni e potrebbe raggiungere i 20 milioni nel 2024. Alla diagnosi, la maggior parte dei tumori dipende dagli ormoni (androgeni) per la propria crescita: la terapia di prima linea consiste quasi sempre nel “tagliare i viveri” al tumore, abbassando i livelli di androgeni nel sangue. Dopo una iniziale regressione, però, le ricadute sono frequenti, perché con il tempo le cellule tumorali residue imparano a riprodursi anche con meno androgeni e generano nuove cellule resistenti alle terapie ormonali più comuni.
Si stima che il 10-20% dei pazienti svilupperà un carcinoma prostatico resistente alla castrazione (CRPC) entro cinque anni: la maggior parte delle terapie ormonali perde di efficacia contro il CRPC, ma alcune di nuova generazione, come l’enzalutamide, possono ancora avere dei benefici, perché si legano con alta affinità al recettore degli androgeni e “occupandoli”, impediscono agli ormoni di funzionare. Ma anche in questo caso, l’effetto spesso è solo temporaneo. Il tumore può ripresentarsi nella forma “ormono-refrattaria” (HRPC), la più pericolosa perché non risponde più a nessuna terapia ormonale, rendendo quindi necessario ricorrere ad altre opzioni terapeutiche.
Fitocannabinoidi e cancro alla prostata
I fitocannabinoidi estratti dalle piante di cannabis sono usati ormai da decenni come cure palliative nei pazienti oncologici, grazie alle loro proprietà rilassanti e analgesiche.
Ma oltre ad alleviare il dolore, questi composti sembrano anche in grado di esercitare un effetto anti-tumorale, come documentato da un numero crescente di studi scientifici.
Entrambi i recettori dei cannabinoidi, CB1 e CB2, sono altamente espressi sulla superficie di cellule di tumore alla prostata in coltura (ma non sulle cellule sane di prostata). I ricercatori hanno dimostrato che il CBD può legarsi a questi recettori e inibire la crescita tumorale sia in vitro sia nei modelli animali, ma non è ancora chiaro il meccanismo. Vari studi suggeriscono che potrebbe modulare l’apoptosi, cioè il processo attraverso cui le cellule che hanno subito dei danni (ad esempio al DNA) si “suicidano” per proteggere l’integrità del tessuto di cui fanno parte. Alla luce di questi risultati, nel 2021 è iniziato uno studio clinico di Fase I per testare l’efficacia di un prodotto a base di olio di CBD sul tumore alla prostata biochimicamente ricorrente (BCR).
La plasticità metabolica del tumore
Un team di ricercatori dell’Istituto di Chimica Biomolecolare del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR-ICB) ha studiato ancora più a fondo il meccanismo d’azione del CBD e di un altro fitocannabinoide, il cannabigerolo (CBG), scoprendo che entrambi colpiscono il metabolismo delle cellule tumorali e possono contrastare anche il tumore alla prostata refrattario a ogni altra terapia.
I tumori come quello alla prostata, soprattutto in fase avanzata, hanno bisogno di molta più energia delle cellule sane: per soddisfare questa “fame energetica”, possono riprogrammare il loro metabolismo, spiegano i ricercatori, facendo aumentare l’attività dei mitocondri, le “centrali elettriche” della cellula. La plasticità metabolica gioca un ruolo fondamentale sia nella nascita dei tumori sia nella resistenza ai farmaci: può essere un’arma formidabile per il tumore, ma in questo caso si è rivelata più un tallone d’Achille. I ricercatori hanno infatti trasformato le vulnerabilità metaboliche del carcinoma prostatico in un bersaglio terapeutico.
CBD e CBG: il meccanismo di azione sui mitocondri
Il CBD, e in misura minore il CBG, interagiscono con una proteina VDAC1, responsabile della plasticità metabolica dei mitocondri. I due composti accelerano il metabolismo, ma attivano anche dei meccanismi compensatori che portano all’apoptosi della cellula. Il CBD da solo si è rivelato più efficace del CBG, ma è la combinazione tra i due ad aver prodotto i risultati migliori, riducendo la crescita di tumori resistenti al farmaco enzalutamide negli animali da laboratorio. I risultati confermano il legame tra cannabinoidi ed apoptosi, ma ripercorrono anche gli eventi che precedono la morte della cellula legati al metabolismo nei mitocondri.
Questi eventi, spiegano i ricercatori, si succedono a cascata anche nei tumori in fase avanzata, resistenti alle terapie ormonali: i cannabinoidi come il CBD potrebbero quindi rappresentare un’opzione di cura contro le recidive e le forme tumorali più aggressive.
Cover Foto di Michal Jarmoluk da Pixabay